Da qualche giorno si è conclusa l’ultima edizione del MIA Photo Fair.
Anche io ci sono stata e, nel mezzo di un vero e proprio tour de force fatto di incontri, saluti, sorrisi, scambi di idee, visioni e pensieri, ho raccolto diverse impressioni e input, non solo come semplice visitatrice, ma soprattutto come fotografa.
Curiosando tra una galleria e l’altra, pensavo sempre la stessa cosa: la fotografia è realmente lo specchio della società nella quale viviamo. Così come l’arte in senso stretto lo è stata per tutta la storia dell’uomo, così lo è oggi la fotografia. A tutti gli effetti la nuova arte contemporanea!
Ci sono tematiche che, in certi periodi storici, permeano discorsi e pensieri più o meno consapevolmente: inevitabilmente la fotografia diventa il mezzo per interiorizzarle e poi per riproporle e fissarle nell’immaginario collettivo.
Quando partecipai al MIA nel 2013, ad esempio, come assistente di Carlo Mari per il progetto Omo Valley, tanti lavori erano focalizzati sull’Africa e raccontavano risvolti e storie sia delle popolazioni sia della fauna del Continente Nero.
Quest’anno, invece, era inevitabile parlare della tragedia dei migranti.Tanti lavori focalizzati su questo tema da parte degli artisti sensibili alla cronaca, ma solo due che hanno davvero colpito la mia attenzione e che hanno saputo ricreare una perfetta fusione tra messaggio, poesia e resa visiva: il lavoro di Jacopo Di Cera, “Fino alla fine del mare” – che, grazie ai cromatismi e ad una sequenza di close-up stampati su pezzi di legno, è stato in grado di “raccontare una storia” – e quello di Liu Bolin, in grado di dare vita con il progetto “Migrants” ad una mimesi perfetta tra figura e messaggio, grazie alle sovrapposizioni tra le persone e la “Carretta” del mare in secca nel porto di Catania.
Altro filo conduttore poi, quello delle tecniche ormai diffuse e di moda, dalle sovrapposizioni agli scatti dai droni, che diventano prove di un gusto che si evolve nelle stagioni e negli anni.
Un po’ come succede con la moda, allo stesso modo accade nella fotografia contemporanea.
Chi secondo me ha usato “la moda” in maniera molto convincente è stato Antonie Rose il quale, pur con la tecnica delle foto dall’alto e delle riprese da un drone, grazie ad un stile iper minimal è riuscito a trasmettere l’idea di arte nell’ordinario.
Credo che il MIA sia sempre una perfetta occasione per capire quali direzioni sta prendendo il mondo e il mondo dell’immagine, in Italia e non solo. Verso quali orizzonti formali ci stiamo indirizzando, quali linguaggi stiamo adottando, quali tematiche riescono ad accendere le nostre sensibilità e quali invece passano in secondo piano.
Al di là dei gusti personali nei confronti dei singoli artisti, sta diventando un vero rito collettivo che dà modo, a chi – come me – che di immagine vive, di riflettere bene sulla loro natura e sulla loro percezione. Ecco per voi uno scatto di quello che porto con me di questo MIA edizione 2016.